Il viaggio di una vita

Martedì 2 aprile 2013, ore 00:34 stazione di Grosseto.

Una partenza “intelligente” per godersi la pasquetta con gli amici pensavo io, un viaggio da cretini sembrava invece per molti, tra treni notturni, cambi, soste infinite e arrivo all’aeroporto Galileo Galilei di Pisa 30 minuti prima dell’apertura prevista per le 4:00 am, 185 minuti prima del volo per l’aeroporto di Niederhein. Un’esperienza che avevo già provato nel 2011 e che, nel segno del masochismo più estremo, ho deciso quest’anno di ripetere.

Partenza sotto una pioggia biblica in macchina da Montefiascone direzione Montalto di Castro, dove un regionale mi aspettava alle 23:46 per portarmi a Grosseto alle 00:34. Da qui alle 1:53 un Intercity notturno mi avrebbe accompagnato verso la città della torre pendente. Salutati i miei genitori salgo sul treno con l’unico obiettivo di provare a dormire per racimolare minuti di sonno qua e là, ignaro di quello che sarebbe successo quella notte. Arrivato nella città maremmana mi rendo conto di quanto sia duro aspettare un Intercity in stazione per 79 minuti la notte di Pasquetta, dopo 4 giorni passati a casa tra cene, pranzi, grappe e lazzi. Per passare un po’ di tempo decido di fumarmi una sigaretta di un pacchetto ormai dato per perso, trovato casualmente nello zaino. Mi seggo su una panchina nel binario 1 a lato di un ragazzo sui 35 anni; magari, penso, i 79 minuti tra una parola e un’altra passano più in fretta. Intuisco però in pochi istanti che il compagno di nottata aveva qualcosa che lo turbava. Un volto angosciato, distrutto, quasi in lacrime guardava fisso il cellulare in attesa di un qualcosa, un segnale, una chiamata forse che avrebbe dato un senso a quella strana Pasquetta nella stazione di Grosseto. Fumo la mia Camel avvolto da mille pensieri:

Cosa faccio? Me ne vado al binario 2 ad aspettare il treno? Sarà pericoloso? Perché non volo come tutti gli esseri civili in orari comodi e aeroporti vicini?

Non faccio in tempo ad arrivare alla quinta domanda che il compagno di attesa mi rivolge parola:

Potresti darmi una sigaretta per piacere?

Una frase semplice, classica direi, che ha rotto quel fragile velo di distanza che c’era tra noi due. Mario (nome fittizio, non mi ricordo quello esatto, tanta l’emozione di quando mi ha iniziato a parlare) inizia a raccontarmi le sue ultime 24 ore con la forza che ha solo una persona alla quale le è caduto il mondo addosso e non ha avuto il tempo di sfogarsi con nessuno. Il nostro Mario, romano trasferitosi a Livorno, era stato “gentilmente” invitato a lasciare casa dalla compagna e dalla “suocera”, accusato, a sua detta, di una serie di falsità e cattiverie troppo dure per generare solamente un normale litigio. Questa fine inaspettata e brusca lo aveva portato a licenziarsi, deciso di tornare nella Capitale per rimettersi in gioco, dopo che Roma lo aveva visto andarsene anni orsono alla ricerca di una vita migliore. Tale scelta lo aveva portato a prendere il primo treno in partenza dalla città del Cacciucco e ora si trovava a Grosseto in attesa dell’Intercity delle 3:57. Tra lo sgomento e lo sconforto cerco di creare un’empatia con Mario, piazzo alcune frasi banali per sottolineare che data l’età aveva tempo di rifarsi una vita e lasciare tutto alle spalle. Provo a tirarlo su di morale in tutti i modi, gli chiedo la sua fede calcistica e non appena scopro essere un tifoso della squadra di Totti decido di rivelare una menzogna grande quanto fondamentale in quel momento: sono un lupacchiotto anche io! Non me ne voglia lo spirito di Artemio Franchi ma in quella situazione non avevo altra chance. Da lì inizio a raccontare a Mario le gesta della Roma da capitan Losi a Falcao, da Conti al pupone; se lo sapesse mio zio Gino, antiromanista più che laziale, mi toglierebbe il saluto …

Nonostante tutto il mio amico non sta bene, continua a fissare il cellulare, lo stato di agitazione non passa, la gola ha in serbo un altro rospo da sputare, non tarda molto a uscire. Mario mi rivela che appena dopo il crollo del suo piccolo mondo di certezze aveva avuto uno strano pensiero. Un’idea folle quanto mai coraggiosa per chi decide di compiere tale passo: togliersi la vita. Quelle parole sono state come uno schiaffo a mano aperta, una doccia fredda che mi ha fatto emergere un sentimento di rabbia misto a dolore. Erano passate appena 36 ore da quando avevo salutato una vecchia amica che aveva deciso di intraprendere questo cammino senza ritorno.

I cimiteri non sono i luoghi deputati per andare a vedere un amico, soprattutto se hai 30 anni.

Le parole di Mario non sono passate certo inosservate; il dolore per la recente scomparsa era ancora troppo forte per non cercare di distogliere dal suo proposito il compagno di panchina. Spiego al mio amico che la vita è un bene troppo bello e puro che nessuna delusione di amore o lavorativa può offuscare. Sono fortunato lo so; avere una famiglia, amici e persone intorno che ti vogliono bene aiuta, così come lo stato di relativa agiatezza, senza alcuna difficoltà economica o sociale. Tanti, troppi sono purtroppo coloro che soffrono ogni giorno angosce più profonde. La mia breve esperienza in Romania come clown volontario mi ha aperto gli occhi sotto questo aspetto. La vista di tante persone con problemi ben più gravi ma comunque amanti della vita tout court è un segnale di fiducia e speranza. In questa epoca di falsi miti e falsi eroi ci dimentichiamo che la nostra vita merita di essere celebrata ogni giorno per quello che è e non per quello che non è, dobbiamo apprezzarci per quello che siamo e non piangere per chi avremmo voluto essere.

I 79 minuti sono agli sgoccioli, la campana assordante annuncia che l’Intercity per Pisa Centrale è in arrivo. Inizio a salutare Mario, gli faccio ancora una volta gli auguri per il futuro e gli lascio il pacchetto di Camel. Spero tanto che quelle sigarette abbiano allungato una vita …

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