25 novembre 2020, ore 19:07
Dopo 10 ore in coma a letto per un presunto Covid mi sveglio e guardo il cellulare con un volto frastornato e un alito diversamente profumato. Tra un “Come ti senti?” e un “Falla finita, lavoratore!” arrivo al dodicesimo whatsapp e leggo qualcosa che non avrei mai voluto leggere, non quel giorno ubriaco dopo 1kg di paracetamolo… “È morto Maradona!”.

Spossatezza.
Nausea..
Mal di testa…
Gli stessi sintomi che provavo la mattina, né più né meno, sono ritornati insieme alla consapevolezza che se ne fosse andato lo sportivo più sensazionale che avessi mai visto.
Ho grossi problemi con la memoria e i miei primi fulgidi ricordi di Maradona risalgono solo al ’94. I maledetti mondiali del ’94, quelli di Baggio che accompagnò l’Italia intera in finale da solo e della “viuda blanca” che accompagnò Diego verso l’uscita della sua carriera.
Nel 1994 ero una piccola canaglia, andavo al catechismo pedissequamente e la Binetti a mio confronto sembrava Trotski. Nulla sapevo della vita reale, il mondo della droga sembrava la mafia del Commissario Cattani e il mio unico punto di contatto col mondo dello sballo era quello con i vecchietti della fraschetta** de “La Nanna e Felicetto”, i miei nonni paterni che mi hanno cresciuto tra un quartino e una carezza insieme ai beoni di turno del paese.
Da lì in poi, mentre ingrassavo sul divano di casa da buon cicciobomba cannoniere (o clodoveo bacarozzo, ma questa è per pochi intimi) ho iniziato ad amare follemente sportivi così diversi tra loro: Indurain, Baggio, Pantani, Ronaldo e appunto Maradona. Potrei elencarne molti altri, ma mentre scrivo, A.D. 2020, Salvini ha svuotato e delegittimato il concetto di lista. Un pantheon variegato, nei nomi e nei modelli, che coniugava modelli di vita esemplari e artisti con la A maiuscola.
Negli stessi anni il mondo delle droghe fece la comparsa nella mia vita, anche se solo da spettatore. Ho avuto la (s)fortuna di vivere quei tempi, dubitando dei venditori di fumo e spacciatori di certezze assolute e triste quanto attuale è ancora il ricordo dei compaesani che non possono più leggere questo blog da quattro soldi.
Anche per questo oggi, alla luce di una immatura maturità, saluto Diego l’artista e lo ringrazio per la fantasia e il genio che ha portato nella mia vita. So bene cosa siano i modelli di vita e quali no (vedi Binetti), ma non sta a me giudicare l’uomo, anche perché sono tutto meno che uno stinco di santo… Lasciamo da parte anche la giustizia divina, perché Dio, almeno quello del calcio, è morto il 25 novembre.
¡Ad10s Diego!

*Dedicato a Luca. Dopo averlo vissuto per 40 anni ti auguro di diffondere il Verbo per i prossimi 80 anni almeno.
** Se siete arrivati fin qui non sapendo cosa sia una fraschetta vi lascio a wikipedia. Mi dispiace per voi, come scritto nel cimitero di Napoli nel 1987, vi meritate un bel “Non sapete cosa vi siete persi”.